Santo Della Volpe: missionario del giornalismo, della legalità, della giustizia

di Gian Mario Gillio

Che brutta notizia stamane. Come al solito ho dato un’occhiata al sito di Articolo 21 sul telefonino, lo faccio tutte le mattine, mi serve per capire cosa bolle in pentola e leggere qualche articolo di colleghi impegnati nella difesa delle libertà: da quella per la stampa a quella di opinione e di pensiero. Non potevo credere al titolo in apertura che stavo leggendo: “Ciao Santo!”. Un titolo semplice, immediato che mi ha fatto capire subito che il giornalista, poi diventato amico, Santo Della Volpe – che avevo conosciuto proprio alle riunioni del direttivo di Articolo 21 – non era più con noi.

Un rimorso infinito mi ha assalito e poi mille pensieri nella testa: dovevo capire meglio cosa gli stesse capitando, dovevo chiamarlo e andare da lui, chiedergli se potevo essere utile in qualche modo, dirgli anche solamente che per me lui è stato un esempio importante, che rappresentava ciò che cerco nelle persone che voglio avere vicino, una persona onesta, di sani principi, modesta – seppur di grande professionalità e umanità –, una persona con la quale era bello poter chiacchierare, una persona della quale ti potevi fidare e che sapeva trasmettere serenità e tranquillità genitoriale. Infine, ho pensato che in fondo mi sarebbe bastato poterlo salutare per l’ultima volta guardandolo negli occhi.

L’ho sentito più volte, anche in questi ultimi mesi. Sono andato a trovarlo nel suo nuovo ufficio dopo la nomina come presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi); era contento del suo ufficio, delle sue stampe appese al muro, delle idee che avrebbe proposto ai colleghi, l’ho trovato battagliero come sempre; certo, era un po’ stanco e lo si percepiva dal fiato corto che ogni tanto lo assaliva, ma lui non voleva darlo a vedere.

Mi aveva parlato di alcuni suoi problemi di salute, senza mai entrare nello specifico e senza dar troppo peso alla sua situazione. Più volte mi diceva di dover tornare a fare dei controlli. Io, probabilmente insieme a tanti altri colleghi, ho sottovalutato la gravità del problema, per via della sua capacità di saper andare oltre sé stesso. Santo metteva sempre in prim’ordine gli altri: “parlami di te”, diceva, un’anticipazione forse per non essere “intervistato”.

Questo è stato uno degli insegnamenti di Santo Della Volpe: l’altruismo.

Quel volto televisivo a me noto, giornalista di lungo corso, che ero solito seguire dalle Alpi piemontesi prima di trasferirmi a Roma nel 2003, raccontava quell’Italia che spesso non veniva rappresentata dai media generalisti. Santo entrava nella tua casa portando con sé le persone che incontrava in occasione dei suoi reportage, li accompagnava dentro il tuo salotto, te li presentava, smussava le eventuali spigolosità del primo incontro tra telespettatore e intervistato e poi, piano piano, apriva le porte all’empatia, condizione necessaria per la comprensione reciproca.

Santo ha saputo raccontare, come pochi sono in grado di farlo, le storie delle operaie e degli operai italiani, delle impiegate e degli impiegati messi alla porta da un giorno all’altro, dei rifugiati in cerca di riconoscimento, delle persone vessate dalla malavita: dall’inquinamento e dalle mafie. Santo era un bell’uomo, un bravo presentatore anche in occasioni pubbliche importanti, un bravo comunicatore, oltre ad esser un formidabile giornalista.

Santo ha fatto del suo lavoro una missione.

Un “famoso” generale inglese di nome John Charles Beckwith fece costruire, agli inizi dell’Ottocento nelle “valli valdesi” (Alpi Cozie), oltre cento scuole per garantire l’educazione alla minoranza cristiana valdese, contribuendo così alla diffusione della cultura. Beckwith diceva loro: “O sarete missionari o non sarete nulla” per dire che solo attraverso la cultura, la formazione e il servizio al prossimo, si è in grado di poter salvare e difendere chi, più debole, sta a noi vicino. Un insegnamento che i valdesi hanno fatto proprio.

Santo non era valdese, era cattolico, ma oggi potremmo dire un cattolico “alla papa Francesco”, un cristiano autentico. Un missionario che sarebbe piaciuto al generale inglese. Missionario del giornalismo, della legalità, della giustizia, dei diritti, dei valori civili e umani. Un insegnamento importante che ci ha lasciato ma che io credo, difficilmente riusciremo a portare avanti come è stato in grado di fare lui.

Santo era sempre disponibile, al di là di ogni possibile immaginazione, Santo ha sempre risposto alle telefonate e se per caso occupato con qualche diretta, richiamava appena possibile. Le assillanti richieste di articoli o editoriali, quando ero il direttore della rivista Confronti, hanno sempre trovato la massima disponibilità e la firma di Santo Della Volpe era per noi un motivo di vanto e garanzia di qualità.

Quando gli chiesi di entrare a far parte della giuria di un premio sul “cinema come rappresentazione del sociale” inserito nell’Asperger film festival, ha accettato senza batter ciglio dando un contributo unico e prezioso. La sua sensibilità, la sua capacità di capire i segni dei tempi e il valore di ciò che sta dietro il non detto, il non rappresentato, il non illuminato, hanno aiutato tutta la giuria nell’indirizzo delle scelte.

Ero affezionato. Santo era tuttavia imprendibile, preso da mille impegni, seppur sempre attento all’ascolto dell’altro. Scappava di luogo in luogo, aveva sempre altri impegni: “dopo”. Le occasioni di poter fare due chiacchiere insieme, in tranquillità, sono state poche; io non ero un amico del “dopo lavoro” o un amico di vecchia data, o un ex compagno di scuola, ero un amico “professionale” ma consideravo la nostra un’amicizia vera, fatta di confidenze personali e di fiducia.

 

 

Grazie Santo, sono stato contento e onorato di averti conosciuto

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